venerdì 18 maggio 2012

ENTRY 0032
18.5.12

SULLA STRADA: IL VIAGGIO DI KOVALSKY

- C'è una sola strada - era solito dire Kovalsky, a volte rigirando il collo di una Budweiser come se all'interno ci
fossero delle risposte che non riusciva a distinguere bene; a volte quasi sdraiato sul cofano della sua Pontiac verde, guardando l'orizzonte piatto sotto il sole del tardo pomeriggio. - Una in tutto il mondo, anche se sembra
tante strade diverse. E la facciamo tutti, ogni giorno della nosta xxxxx di vita.
- E dove porta...? - gli chiedevo allora, a volte sdraiato all'ombra dell'unico albero nei dintorni, la giubba arrotolata a mò di cuscino contro il tronco; a volte chinato sopra una carta geografica che sembrava disegnata
da un dannato hippie dopo un trip.
- Porta esattamente dove dobbiamo andare. Per questo io cerco di non perdere troppo tempo: la bellezza è
nel viaggio, non nella destinazione: e il viaggio devi bruciartelo, far cantare la strada sotto le ruote, per farle
sapere che stai arrivando.
Era inutile cercare di seguire più di tanto i suoi ragionamenti, perchè assomigliavano troppo al suo modo di guidare...curve tagliate, contromano, retromarce sgommate e sorpassi da aviatore in guerra coi Giapponesi.
Grande, vecchio Kovalsky. Ogni volta che parlava di strada, io sapevo che stava parlando della vita, nel modo
in cui la vedeva lui: un nastro grigio con una sola direzione, che l'unica cosa a cui serviva era passarci sopra...
scorrere veloce con lo sguardo fisso cento metri avanti a lui.
-Una volta ho portato questo tipo con un cognome francese da Springfield a St.Louis... faceva Jack di nome,e si portava dietro una fighetta di nome Allen, un ragazzetto ebreo con la faccia timida, simpatico ma frocio come
il Ken della Barbie. Ero di umore spigliato, e ho guidato da un posto all'altro in neanche cinquanta minuti;dritto
come un xxxxx di fuso, che potevo farlo dormendo legato sul volante.
Beh, Allen è stato dietro rannicchiato tutto il tempo, bianco come un cencio, e ad ogni frenata lo sentivi
sussurrare in un dialetto del xxxx...
- Forse stava pregando - azzardo io, ghignando.
- Sì, era il tipo. Ma l'altro, Jack... lui era calmo come un falco quando fa i cerchi dall'alto sopra un gregge,e
teneva in mano un block notes su cui ogni tanto scribacchiava qualcosa. Guardava il paesaggio che sfrecciava alla sua destra, e sorrideva spesso, e giù che scriveva ancora. Poi mi guardava senza dire niente,
mentro io stonavo sopra una vecchia canzone di Woody Guthrie Poi, a un certo punto, mi fissa e fa:
- Tu come la intitoleresti, la tua vita?
Io ci ho pensato un attimo, e poi d'istinto gli ho fatto: - Sulla strada.
- Già - ha sorriso,lisciandosi il mento con le dita. Ed è tornato a scrivere fino alle prime case di st.Louis.
- Se ne incontra, di gente strana, per il mondo.
- Ame, fratello. Amen.
E poi giù sull'acceleratore, io e Kovalsky incontro ai primi sospiri della sera.


Janisch

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