lunedì 30 settembre 2013







ULTIMO MESSAGGIO REGISTRATO


L'avrete già sentito, ma ognuno di noi è diverso dagli altri per razza o religione, sessualità, idea politica o tradizioni culturali.
Far parte di una minoranza non obbliga per forza a rispettare tutte le altre.
Può darsi che nero islamico comunista e un ebreo maschilista di destra non abbiano niente da dirsi, e magari si avvalgano del loro sacrosanto diritto a prendersi a spintoni e a dare delle troie alle rispettive madri: e quando passerà un ambientalista omosessuale bianco e luterano, si uniranno a dare addosso a lui, che avrà appena rigato l'auto di un fascista cattolico di targa bulgara.
E proprio qui sta il punto: se ci scomponiamo in tutte le cose che ci definiscono, non troviamo più una maggioranza di alcun genere, perchè scompare la finzione dell'identità.
Nel nome dell'identità si fanno le crociate e si affettano i bambini altrui, ci si rinchiude in ghetti da cui si guarda agli altri con ostilità e diffidenza - senza pensare ai motivi che possono avere gli altri per guardarti allo stesso modo - e, intorno all'identità, si alzano muri che circondano tratti sempre più piccoli della nostra anima.
La nostra civiltà si è eretta una bolla attorno, immaginandosi oltre il tempo e il cambiamento... e regredendo, così, all'infanzia. Perchè è il bambino , di solito a credere che ignorando un problema questo smetta di esistere.
Ti tiri le lenzuole sul viso, e il coccodrillo nel buio non può più mangiarti: alla luce del giorno la cameretta tornerà tua, uguale e rassicurante come sempre.
Ma la vita va un pò oltre l'infanzia.
E quando al buio dell'età adulta trovi la solitudine e la depressione, l'agenzia delle imposte e la disoccupazione, i genitori invecchiati e la fine degli amori, accendere la luce non ti serve a un ostrega; anzi, vorresti spegnerla e riavere indietro quel coccodrillo immaginario che ora ti manca tanto.
Ma il tempo esiste ed è parte di noi, come siamo parte di lui. E' la Grande Differenza, e accettare il suo mistero,per cui siamo già morti cambiando (e così tante volte in una sola vita!), vuol dire abbandonare la cameretta dell'identità in cui ci eravamo chiusi per la paura di non saper immaginare un'alternativa.
L'alternativa è questa: noi siamo liberi.
La libertà è tutto ciò che un uomo e una donna possono essere.
Io sono qui che, con l'ostinazione di un sindacalista, cerco di superare ogni tipo di paratìa - quasi sempre inutile - che mi hanno messo dentro una stanza già troppo piccola.
Posso credere a tutti gli dèi che sono disposti ad amarmi, perchè di amore c'è sempre bisogno. E voterò per chiunque farà la cosa giusta per la mia coscienza. Amerò tutti i sessi che esistono, e tutti quelli che riuscirò a immaginare. Solo non appartenendo a nulla potrò appartenere a me stesso, e solo così potrò fare davvero dono di me a qualcun altro, quando verrà il momento.
Perchè solo chi è libero ama davvero, e solo l'amore rende davvero liberi.

DEDICATO A TUTTI QUELLI CHE CREDONO DI ESSERE UNA COSA SOLA.





venerdì 13 settembre 2013







D O V E   F I N I S C O N O   L E   S T R A D E   I N I Z I   T U

Il mio nome era Adrian Kovalsky.
Molti hanno scritto di nome, ma io non ne ho mai letto una riga. Ho sempre avuto poco tempo per leggere, a parte l'ultimo mese di CAR ILLUSTRATED, sempre sul cruscotto per quando mi trovavo in coda in autostrada. Non che abbia girato molto sulle autostrade: poche uscite, pochi svincoli, quasi niente curve nè incroci: amavo di più le strade che assomigliavano alla vita , le provinciali smottate e crepate più sterzo che rettilineo, tornanti di montagni e sali e scendi... è stato Pippo, l'amico del topo vestito, a dire " è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita." Amen, fratello, amen. Questa è stata la vita di Kovalsky, l'autista di tutti i racconti d'America.
Non la stessa America di oggi, gonfia e tronfia di pipparoli alla guida di autofighette con la plancia come una playstation e il ***** di cambio sincronizzato: io ti dico dell'America di Kerouac, al volante di carri armati con un'anima come la mia Pontiac verde del '57, la più bella giumenta meccanica che una fabbrica umana abbia assemblato sotto il cielo di George Washington.
Io e gli Indiani abbiamo avuto questo in comune: vedere l'anima delle cose. Come la terra non è solo polvere e fango, così le strade non sono soltanto nastri di asfalto: sono percorsi con qualcosa ad ogni metro da raccontare. Sono storie. Se le sai sentire, ogni via , sotto il rombo del motore, ti mormora le sue, e quando hai imparato ad ascolarle l'intero Paese diventa una distesa di storie sussurrate, e ad ogni giro di pneumatico tu le tiri su, le arrotoli tutte nella memoria, e alla fine diiventi anche tu una parte di loro. Una storia.
Come l'autostoppista fantasma sulla Route 36, che ti canta i vecchi blues della ferrovia e poi si fa lasciare di fianco a un vecchio cimitero. O l'albergo che appare e scompare a seconda della luna, sulla scogliera in fondo alla baia. O ancora, il tizio magro nero con la voce sottile, vestito da donna, che ti confida: "Non mi hanno ucciso, sono scappato, e sto ancora scappando."
Ricordi, leggende, voci dall'America dimenticata che ti parla dei morti occorsi per costruire un ponte, o del paese morto lentamente dopo che hanno spostato l'autostrada, o del deserto dove ogni anno per tre giorni arrivano sbroccati da tutte le parti, cantano e ballano strafatti per tre giorni dormendo in tenda e nelle roulottes, costruiscono un grande spaventapasseri e alla fine gli danno fuoco per poi tornare ognuno da dove è venuto, contento e più vecchio di un anno.
Le strade sono le storie dei posti che hanno toccato e dove portavano: la cascata che non esiste più, il borgo travolto da una frana, la valle sommersa per creare un bacino idroelettrico. Ricordaci, dicono i posti: portaci dentro, perchè non sei diverso da noi, e un giorno...quuando la tua Pontiac arruginirà tra le sterpaglie e tutti quelli che ti hanno conosciuto saranno scomparsi... di te resterà una storia - la Storia di Kovalsky, l'Uomo che Guidava fino alla Fine del Mondo.
E questo è il punto... le nostre strade finiscono: possiamo percorrerne migliaia ogni giorno quasi con furia, come ho fatto io: ma un giorno imboccheremo l'ultima.
E allora, alla fine dell'ultimo metro dell'ultima delle strade su cui hai guidato la tua Pontiac, la tua vita verde scintillante o blu malinconia o giallo dorato come il Sole... allora noi stessi diventeremo la nostra strada. La nostra storia.
E saremo liberi.

Su una lapide anonima, lontano da un paese in uno stato del Midwest, sotto un acero rosso vicino a uno stagno, c'è questa scritta:
WHERE THE ROAD ENDS YOU BEGIN
(Dove finisce la strada inizi tu)
Nessuno sa il perchè.