mercoledì 28 marzo 2012

Ode a Kovalski

Entry 0005
28.3.12

ODE A KOVALSKI

In ogni momento delle nostre vite, le auto sfrecciano lungo i loro nastri d'asfalto, verso tante direzioni quante ne
sappiamo dare loro. Automobili, camion, auosnodati e autoarticolati,pullman, trattori e mezzi speciali, tutti lanciati verso il loro orizzonte.
Kovalski diceva che l'auto è un'immagine della volontà, e che la strada è la vita, e a volte il destino.
Lei piega, tu pieghi.
E a volte lei piega, tu vai dritto.
Oppure lei va dritta,ma tu per qualche motivo sterzi.
Tue le scelte, tue le conseguenze.
E per ogni tocco sul freno o sull'acceleratore, per ogni movimento del volante cambia la tua storia, perchè da
quel momento ti troverai sempre un attimo prima o un attimo dopo rispetto a quel che altrimenti sarebbe stato, e nessuno può prevedere che effetti ne deriveranno.
Per questo Kovalski non voleva avere mai nessuno davanti a sè: per lui l'unica strada degna di essere percorsa
era quella sgombra, dove nessuno ostacola i tuoi movimenti, ritarda il tuo tempo, ti costringe a reagire anzichè ad agire. Questa, per lui, era la libertà.
Oggi è una bella giornata di sole , tiepida e limpida, ideale per guidare. A Kovalski sarebbe piaciuta.
La sua Pontiac Star-Chief del '57 bruciava la strada come un hippy la sua canna, lo sguardo fisso alle nuvole
basse sulla pianura, i riflessi di un gatto selvatico sempre all'erta per schivare ogni bestia abbastanza stupida per attraversare la Strada 66 in ora di punta. Lui consegnava qualsiasi cosa, legale o meno che fosse, e garantiva
dieci secondi di anticipo sulla scadenza: ma arrivava sempre prima. Era il suo modo per divertirsi sul lavoro,e
lo estendeva anche al suo tempo libero.
"Quanto pensi ci voglia, al minimo possibile, per andare a prendere un Jack Daniels da Corrigan a Crow East, dove c'è quella brunetta che serve ai tavoli il sabato mattina?" mi chiedeva, spegnendo il sigaro sul tronco dell'albero a cui stava appoggiato guardando il traffico sull'autostrada.
"Non meno di due ore e mezza" rispondevo,finendo di cambiare il filtro dell'aria al suo siluro verde chiaro.
"Al minimo,ho detto.Tu sai cosa vuol dire il minimo"mi riprendeva con un ghigno.
"Volando e infrangendo ogni comma del Codice? Un'ora e tre quarti."
Allora lui si alzava , stirava i muscoli come un animale feroce prima della caccia e mi guardava sornione:
"Saremo lì in novanta minuti".
"Ci andrai da solo,amico"replicavo io."A quella velocità, basta una buca nell'asfalto o uno sternuto per man-
darti in orbita".
E mi passava davanti, mettendomi una mano sulla spalla come per compiangermi.
Lui ci viveva,in orbita. Il giorno dopo , passando senza fermarsi, mi avrebbe tirato una lattina di birra come il
garzone fa col giornale, e sopra ci sarebbe stato marcato a pennarello verde: 1h28'50".
Maledetto pazzo. Ho perso il conto delle volte che è successo.
Kovalski correva sul mondo, e il mondo gli correva dentro: le colline si spostavano per lui, i guard-rail fischiavano scintille al suo passaggio, la polizia non vedeva che una macchia sfocata verde strigliare la banchina, tagliare un curvone per rientrare contromano e infilare uno svincolo in uscita come un proiettile
che nessun altro avrebbe potuto tenere in carreggiata. Ma lui lo faceva, e in un modo tale che anche chi lo
odiava si alzava ad applaudire.
Se lo avesse voluto, sarebbe stato il più grande pilota di Formula 1 di tutti i tempi: ma l'unica volta che gli
avevo chiesto se ci avesse mai pensato, lui mi aveva fissato sprezzante e aveva detto:
"Correre in tondo come un'anatra finchè gli altri hanno deciso che hai finito?
Ha! Io vado dove voglio, e mi fermo quando e dove dico io."
Questo era Kovalski, il Cavaliere Invisibile.
E non lo ha fermato un posto di blocco, non lo ha fermato una macchia d'olio su un tornante o un guasto a un ammortizzatore...
Un giorno di Maggio ha infilato lo sterrato che costeggia il Canyon Maria Celeste, poco a Ovest di Reno,
e nessuno lo ha più visto. Hanno cercato dovunque, ma non se n'è trovata traccia, nè di lui nè dell'auto;e al
fondo della strada una frana bloccava il passaggio. Le orme di pneumatico arrivavano fin lì, a pochi metri dai
massi , e svanivano nel nulla.
Forse,alle Storie Invisibili non si può dare che una fine invisibile.
O forse finiscono i viaggiatori, ma il viaggio non finisce mai.
Ti saluto, Kovalski: questa birra è per te.
Fredda e scura come una sera di inizio autunno, quando la strada è libera fino all'orizzonte e le stelle si chinano, in attesa, al fondo del cielo.

Tuo,
Janisch

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