giovedì 24 ottobre 2013







IL SOLE DI CRISTALLO

Ovvero delle Cose che Sono in Quanto Fluttuano

Avevo chiuso la porta del negozio alle mie spalle, e il silenzio mi aveva accolto come un amico nel dormiveglia.
In attesa che arrivasse qualcuno a servirmi, mi ero avvicinato al basso pianale della vetrina, osservando gli oggetti che sembravano esservi sparsi a caso: qualcuno adagiato su un panno, altri rialzati su cavallotti trasparenti, altri ancora posati su un leggio come se fossero stati dei libri.
Il tratto comune tra tutti loro, era che non riuscivo a riconoscere nulla di familiare: nessuno di quei manufatti, tutti di ottima fattura, apparentemente di una certa età e prodotti di un lavoro artigianale, ai miei occhi pareva avere un senso compiuto.
Una cassa di violino poggiato su un telo di raso nero, ma priva di manico e di corde, con fili scintillanti fissati a coprire il cerchio tagliato nel legno lucido chiaro: parevano di seta di ragno, e brillavano d'arcobaleno ad ogni soffio di brezza.
Libellule intrecciate di cavo di rame , gli occhi a spirale che in qualche modo giravano lentamente, le ali tese e sospese a mezz'aria senza nulla di visibile che le reggesse.
Oggetti aperti come volumi stampati, ma in realtà modellati da un corpo unico di una materia liscia che profumava di sapone, le finte pagine cesellate delicatamente con le loro lievi abrasioni e un falso ingiallimento ai bordi, e i caratteri esotici sul doppio foglio si muovevano come un geroglifico animato, mormorando parole in una lingua dimenticata.
Ma, soprattutto, la cosa che aveva attirato la mia attenzione quel mattino, mentre passavo davanti a quell'esercizio senza nome e senza insegna che non ricordavo di aver mai visto prima.
Si trattava di un globo di cristallo smerigliato, issata in alto a circa due metri dal pianale, che girava lentamente su se stesso: e mentre roteava piano splendeva di una luce dorata, intensa ma non abbagliante, come se lo spazio intorno ad essa subito la assorbisse come linfa vitale; e le ombre cangianti che gettava sulle superfici circostanti danzavano scivolando in cerchio, come acqua luminescente , disegnando un teatro di forme effimere dalla vita di un istante, in un incanto che si riproduceva senza sosta e senza fine.
- C'è nessuno...? - avevo chiesto a bassa voce, contraddicendo la mia stessa premessa: stavo richiamando l'attenzione, ma cercando di non farmi sentire.
- Dipende - disse una voce di donna, da qualche parte nella penombra del retrobottega.  - Lei è un cliente?
Il suono era distante, ma le parole nitide, come se avesse parlato nella mia mente anzichè attraverso l'aria.
- Credo di sì - avevo risposto, cercando di distinguere qualcosa tra le quinte di tende traslucide oltre il bancone deserto, sul quale spiccava un grosso campanello simile a quello delle reception d'albergo: lo sollevai con delicatezza, e vidi che era privo di battacchio.
Ogni singolo oggetto lì dentro pareva privo di senso come la mia stessa, strana curiosità.
- Allora, buongiorno - fece lei, improvvisamente alle mie spalle, dove non poteva in alcun modo trovarsi.
- Che cosa desidera...?




1- Continua

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