martedì 15 maggio 2012

lunedì 14 maggio 2012

IL TRENO NON FERMA A FORDHAM

ENTRY 0031
15.5.12

Auguri ai miei genitori, che si sono sposati oggi, 52 anni fa.

IL TRENO NON FERMA A FORDHAM

Un uomo doveva andare a Fordham, e per questo era salito sul treno per New York.
Il capotreno che controllò il suo biglietto gli disse: "Accidenti,signore: il fatto è che oggi
è Sabato, e il Sabato questo treno non si ferma a Fordham."
Allora gli disse che gli avrebbe fatto segno quando si sarebbero avvicinati alla stazione,
perchè a causa di lavori sui binari il convoglio avrebbe dovuto rallentare fin quasi a passo
d'uomo, per poi riprendere velocità. In quel punto gli avrebbe aperto la porta della carrozza
e lo avrebbe lasciato scendere.
"Ma si ricordi di continuare a correre per qualche momento " lo avvertì , " o lo stacco brusco
la farà finire a faccia per terra."
E così, all'ingresso in quella stazione, l'uomo si vide spalancare la porta, mise un piede sul
predellino e, timoroso, seguì le istruzioni e saltò giù continuando a correre per assecondare
il movimento.
Ma prima che potesse fermarsi si sentì afferrare per un braccio e issare di nuovo all'interno
del treno, dove un controllore lo guardò e sorridendogli gli disse:
"Lei è proprio fortunato che mi sia accorto che stava correndo qui di fianco.
Questo treno il Sabato non ferma a Fordham."
ENTRY 0030
24.5.12
IL FASCISMO DEL SILENZIO

LETTERA APERTA AI LETTORI

Cari amici/care amiche/trans e pinguini,
questo è un diario interattivo.
E' molto seguito,ma non è qui per essere seguito
e basta. Essendo interattivo, a chi legge si chiede di interagire.
Il che richiede 5 minuti, l'apertura (mi dicono) di un profilo (sai che sforzo)
e l'espressione di un'opinione,un'idea qualsiasi. Punto.
Se ciò che leggete non vi stimola idee o opinioni, è un problema mio
e allora tanto vale che smetta di scrivere. Se idee non ne avete del tutto è un problema
vostro ed è grave, ma a questo non voglio credere.
Avete presente quegli amici cui tenete ma che non si fanno mai sentire e si scusano
dicendo: "Sai,non ho avuto 5 minuti...!"
Non li prendereste a schiaffi? Non mentite. So che è così.
Allora, visto che nessuno di Voi/Noi è Kofi Annan, Obama o Ibrahimovic,
datevi una mossa e trovate quel tempo insignificante per condividere un'opinione
con me e con tutti quelli che la leggeranno.
Altrimenti mi limiterò a chiudere il Diario, perchè al contrario del 90% delle persone
in giro non amo parlare da solo, lo faccio perchè mi importa di quel che gli altri pensano
e desidero anche ascoltare.
 L'unica alternativa al dialogo è il fascismo del silenzio,in cui prosperano i regimi che ci
vogliono divisi, ognuno isolato alla ricerca della sua inutile felicità.


Vi aspetto.

Janisch

sabato 12 maggio 2012

ENTRY 0029
12.5.12

IL DOTTORE,LA LANTERNA E IL GIOCO DI CARTE

Diario Invisibile, Entry 0029:
Qualche giorno fa sono tornato ferito dal fronte.
Una donna,questa volta Devo ricordare che il pericolo
può venire da qualsiasi parte. Un sorriso sotto due occhi
può non essere che un'arma come un'altra, e spesso più
 Non si ha mai abbastanza esperienza poer scansare il vento.

Nel tempo in cui sono rimasto a riposare, non ho potuto
aggiornare il Diario ma ho letto molto, specie racconti da tutto il mondo.
Questi sono per voi.

1. L'AIUTO DI UN DOTTORE
(Storia cinese)

Un uomo confidava all'amico:
"L'altro giorno per fortuna ho portato l'asino con noi
in campagna per la gita di famiglia...mio figlio è rimasto ferito,
ma in questo modo l'abbiamo potuto portare dal medico di
gran carriera!"
"Capisco...ma che cosa gli era successo?"
"Oh,è stato preso a calci dall'asino."
"Ah. beh, se io fossi in voi lo porterei dal dottor Chang."
"Ma il tuo dottore una volta non era il dottor li?"
"Certo.Ma vedi, il mese scorso sono stato molto male, e la cura
che lui mi ha prescritto mi ha fatto stare anche peggio.
Allora sono andato dal suo collega, il dottor Xian...ma la medicina
che mi ha dato mi ha aggravato: ero più morto che vivo.
Così, ho finito per andare dal dottor Chang!"
"Ed è lui che ti ha guarito?"
"No. No, per fortuna lui non era in casa."

2.LA LANTERNA DEL CIECO
(Storia Giapponese)

Un cieco era andato a trovare un amico, e insieme i due tirarono
tardi; infine, accompagnandolo alla porta l'amico offrì al cieco una
delle lanterne che teneva accese alla porta di casa.
"E cosa ci dovrei fare?" rise questi. "Per me, il giorno è uguale alla notte."
"Non è per te, ma per chi puoi incrociare per le strade del villaggio,
che a quest'ora è immerso nel buio.Altrimenti ti potresti scontrare con un altro passante."
Così il cieco salutò l'amico e uscì nella notte ventosa. Ma poco dopo, circa a metà strada,
sbattè pesantemente contro qualcuno che cadde con lui, lungo disteso.
"Ma che,sei cieco come me?!"gridò,indispettito."Non l'hai vista la lanterna?"
"Amico, la tua lanterna l'ha spenta il vento"rispose l'altro.


3. UNA MANO DI CARTE
(Storia Indiana)

Il Maestro Senza Nome aveva un giovane allievo, brillante ma impetuoso,
che andava sostenendo che chiunque era sempre e comunque in grado di scegliere
liberamente, e che ciascuno era responsabile della propria situazione.
"Chi si lamenta dovrebbe anzi agire, perchè la felicità è alla portata di tutti"era
solito proclamare. "Non ci sono scuse."
Un giorno il Maestro lo prese da parte e lo condusse da un contadino,a tutti noto
come un uomo pigro,ignorante e senza qualità.
A questi e all'allievo il maestro diede un mazzo di carte, e ne lasciò dieci a quest'ultimo
e venti al contadino.
"Il gioco è semplice" spiegò loro: "ciascuno di voi scelga una carta da opporre alla carta
proposta dall'altro, e il valore più alto di una coppia vinca."
"Ma io ne ho la metà,e questo villico vincerà tutte le mani facilmente!" protestò l'allievo.
"Questa è la vita" disse il maestro. "E adesso scegli."


Spero che le tre storielle diano da meditare a qualcuno che crede di avere un pò troppe risposte.
Le domande sono molto più utili, quando si vive in guerra.
Anche se è una guerra invisibile.

Janisch



domenica 6 maggio 2012

ENTRY 0028
06.5.12

LA FRETTA DEL CERCHIO NELL'ACQUA

Apocrifo di Ivano Fossati,
ritrovato in una cabina sul litorale di Ostia,
marzo 1976.

Sono un poeta e qui guardo il mare,
sì,sono morto ma ho ancora del tempo
quello è il mio corpo,mi sembra lontano
so che è importante ma ho ancora tempo

diglielo a Nino che che venga a coprirmi,
copra i miei occhi che han visto il buio
tra le parole, tra l'onda e il sole
dì che mi copra chè sento freddo

c'è un uomo in croce che triste aspetta
su di una chiesa davanti al Lido,
"so che hai sofferto" mi dice serio,
e il suo morire somiglia al mio

quanti i ricordi di cui pentirsi,
quanta la fretta del cerchio nell'acqua
l'amore al vento, la riva amara
chiama il suo cerchio a spezzarsi piano

Diglielo a Nino che l'ho voluto,
dirglielo adesso non mi dispiace
fa un male dolce come il tramonto
come il sorriso dell'uomo in croce

sai, mio fratello lo sa da tanto
fino dal giorno che è andato via
questa è la guerra e non puoi parlarci,
questa è la guerra, la sua e la mia

tutte le vite che non ho avuto,
tutti gli amori lasciati andare
cerchi nell'acqua fioriti al Lido,
piove negli occhi e diventa mare

cerchi nel tempo non più vissuto,
piove il mio sangue e divento mare

per P.P.P.



venerdì 4 maggio 2012

ENTRY 0027
GLI UOMINI DI IERI 2

Il padre di mia madre si chiamava Virginio.
Aveva i capelli rossicci, era magro e gli occhi stretti sembravano ridere di qualcosa anche quando il resto del
viso era serio.
Virginio era venuto da un Veneto dove ancora si moriva di fame , pedalando da un paese di una valle tra Bassano e Asiago sulla sua unica e più preziosa proprietà: la sua bicicletta da corsa.
Una volta arrivato a Torino, una città che prometteva lavoro a tutti gli emigrati d'Italia, aveva trovato un posto
alla FIAt e anche l'assegnazione di un alloggio alle case operaie di Viale Buridani, nel sobborgo di Venaria che
ospitava centinaia di manovali arrivati da poco, soprattutto dal Triveneto e dalla Sicilia.
Poi aveva venduto la sua amata bicicletta, e col ricavato aveva acquistato un biglietto di andata e ritorno a
casa per sè, e di sola andata per la sua sposa e per suo figlio.
Due altre figlie sarebbero nate lì, nel ghetto proletario dove i tubi della stufa correvano lungo i muri di casa
e il pane del tempo di guerra era scuro e andava mangiato prima possibile o sarebbe divenuto così duro da
essere immangiabile.
Virginio avrebbe perso molto dell'infanzia delle bambine, perchè richiamato alle armi nei suoi Alpini sarebbe
finito al fronte in Venezia Giulia, e di lì in un campo di prigionia in Jugoslavia, dal quale sarebbe tornato molti
mesi dopo la fine della guerra. Dicono che la moglie stentasse a riconoscerlo: ma era lui, e con il tempo anche
i suoi occhi stretti ricominciarono a sorridere.
Con la pensione i due pensarono di trasferirsi prima nel biellese, dove avevano un genero e i suoi parenti, ma
il clima umido delle brughiere dove ancora sferragliavano le antiche filande li mise in fuga verso la riviere ligure,
dove in quegli anni - correvano i primi Settanta - ci si poteva ancora permettere ancora permettere di comprare
un piccolo appartamento nei paesi di Ponente.
Lì Virginio visse per poco più di quindici anni, parlando di politica al bar con gli anziani del posto, andando a
ballare ogni sabato e tornando sudato e allegro fradicio, e percorrendo tutte le strade dell'entroterra con la sua bicicletta grigia.
Fino a che un giorno di Ottobre venne travolto da un'auto di grossa cilindrata che sfrecciava in contromano
su una strada deserta lungo il fiume locale, guidata da un meccanico che la stava provando prima di conse-
gnarla a un cliente.
Morì un mese dopo in un grande ospedale dove per circa due settimane lo curarono senza nemmeno sapere
o informarsi del fatto che fosse diabetico.
Lasciava di sè tante fotografie in bianco e nero, un cappello da alpino e una storia che doveva essere raccontata.

Janisch

mercoledì 2 maggio 2012

ENTRY 0026
02.5.12

GLI UOMINI DI IERI

Il padre di mio padre si chiamava Luigi, veniva da Noventa del Piave e lavorava in un'officina della fabbrica
di motori navali che sta venendo smantellata in Corso Vigevano. la fabbrica era di interesse nazionale perchè forniva motori alla Marina Militare e Mercantile, per cui lui era stato esentato dalla chiamata alle armi.
Sì, perchè stiamo parlando del 1943. C'era la Guerra, quella col numero 2 e tutte le lettere maiuscole.
Luigi stava alla movimentazione dei materiali, per cui andava avanti e indietro in furgone e stava molto tempo
in giro da solo. Questo gli dava la possibilità di tenere i contatti con un gruppo di partigiani tra le colline di
Torino.
Purtroppo una soffiata, non si seppe mai di chi, fece arrivare al comando fascista di zona l'informazione che
alla fabbrica qualcuno collaborava con la guerriglia. Un giorno, al direttore dell'opificio giunse la voce di un'imminente ispezione, che generalmente significava rastrellamento dei sospetti e loro smistamento all'OVRA,
la temutissima polizia politica - equivalente della Gestapo tedesca - per gli interrogatori dei fermati. Capitava
spesso che in sede di interrogatorio si verificassero spiacevoli incidenti, e non era raro che i fermati non tornas-
sero più alle loro famiglie.
Il direttore era un brav'uomo, simpatizzante con la Resistenza, e aveva sempre lasciato fare. Conosceva bene
Luigi, per cui lo mandò a chiamare nel suo ufficio e gli disse che lo mandava a fare legna sulle colline fino a nuovo avviso. Un lavoro duro, che poteva essere interpretato come una punizione: si trattava di abbattere tronchi , tagliare rami e ammassare il tutto lavorando da mattino a sera all'addiaccio; ma in collina si era difficili
da localizzare e da raggiungere, e in un minuto si poteva sparire nel folto dei boschi sotto e intorno al colle di Superga.
E così fu. Ma la temuta ispezione non ebbe tempo di avere luogo.
Di lì a pochi giorni un bombardamento colpì in pieno la fabbrica, uccidendo tutti gli operai e il personale al
suo interno.
Lo stabilimento venne ricostruito negli Anni Cinquanta, ed oggi ne sopravvive solo l'infrastruttura di colonne
portanti e tetto.
Ma la memoria degli uomini, attraverso le loro storie, quella vive per sempre.

Janisch