venerdì 22 giugno 2012

ENTRY 0043 - 22.6.12
GLI EROI VIVI

Il mio amico Luigi ha 67 anni, credo.
Suo padre era muratore.
E' cresciuto in mezzo a un cantiere, e a poco più di 20 anni ha fondato un circolo che doveva
occuparsi di problemi di disagio sociale che una città di forte immigrazione come Torino,
segnata da disparità di ogni genere , conosceva profondamente.
Era il 1965 e il circolo si chiamò Gruppo Abele.
Per i primi anni si occupò soprattutto di carcerazione minorile, poi nel '73 per la prima volta in Italia
volle aprire un gruppo specifico per la lotta contro la tossicodipendenza. Droga,insomma.Qualcosa
che fino ad allora era stato o negato o trattato in termini di moralismo sociale, sia dai cattolici che dal
Partito Comunista.
Questo progetto, inevitabilmente, portò lui e i suoi a cozzare contro gli interessi dei racket, e nell'ordine
di Camorra, Mafia e 'Ndrangheta.
Luigi ha ricevuto da solo più minacce di morte che io e voi cartelle di pagamento dal Comune di Torino.
Io l'ho consciuto dieci anni fa,  alle sede di un gruppo di omosessuali cristiani di cui lui aveva auspicato
la formazione e che faceva ospitare alla sezione Abele di via Giolitti (sulla piazza Valdo Fusi) , sempre
per il principio di dare spazio e accoglienza a chiunque sta ai margini. Era un uomo schietto, dalle parole
semplici e dirette, di cui non avrei nemmeno detto che potesse essere un prete. E invece prete era dal '72,
ordinato dal più grande vescovo che questa città abbia avuto, Michele Pellegrino (leggete oggi nel 2012
il testo di CAMMINARE INSIEME e poi ditemi). Fu all'ordinazione che Pellegrino gli disse:
"La tua parrocchia sarà la strada".
Per strada l'ho visto l'ultima volta che ci siamo incontrati, al funerale di un comune conoscente, circa due
anni fa. Era venuto al cimitero in pullman, era sceso alla fermata di Corso Regio Parco del 68 - doveva
arrivare dalla sede centrale Abele di corso Trapani, il capolinea del bus è a un isolato da lì - e aveva camminato solo e tranquillo fino a noi. Senza uno straccio di scorta. Un uomo che ogni giorno che esce a
prendere il giornale rischia che qualcuno lo aspetti appostato all'angolo con una pistola in tasca.
Agli amici costernato ha risposto quello che già aveva detto nella mia chiesa - il tempio evangelico di via
Viterbo, a Lucento Sud - quando l'avevo invitato col mio piccolo centro culturale a parlarci di LIBERA e
della lotta quotidiana contro Cosa Nostra in meridione.
"La paura è nella cultura delle mafie. La paura e la violenza sono i loro unici strumenti. Se iniziamo a portargliene via uno, la battaglia è metà vinta."
Chiudo con queste sue parole.
Io non ho altro da aggiungere.

Janisch

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