venerdì 13 settembre 2013







D O V E   F I N I S C O N O   L E   S T R A D E   I N I Z I   T U

Il mio nome era Adrian Kovalsky.
Molti hanno scritto di nome, ma io non ne ho mai letto una riga. Ho sempre avuto poco tempo per leggere, a parte l'ultimo mese di CAR ILLUSTRATED, sempre sul cruscotto per quando mi trovavo in coda in autostrada. Non che abbia girato molto sulle autostrade: poche uscite, pochi svincoli, quasi niente curve nè incroci: amavo di più le strade che assomigliavano alla vita , le provinciali smottate e crepate più sterzo che rettilineo, tornanti di montagni e sali e scendi... è stato Pippo, l'amico del topo vestito, a dire " è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita." Amen, fratello, amen. Questa è stata la vita di Kovalsky, l'autista di tutti i racconti d'America.
Non la stessa America di oggi, gonfia e tronfia di pipparoli alla guida di autofighette con la plancia come una playstation e il ***** di cambio sincronizzato: io ti dico dell'America di Kerouac, al volante di carri armati con un'anima come la mia Pontiac verde del '57, la più bella giumenta meccanica che una fabbrica umana abbia assemblato sotto il cielo di George Washington.
Io e gli Indiani abbiamo avuto questo in comune: vedere l'anima delle cose. Come la terra non è solo polvere e fango, così le strade non sono soltanto nastri di asfalto: sono percorsi con qualcosa ad ogni metro da raccontare. Sono storie. Se le sai sentire, ogni via , sotto il rombo del motore, ti mormora le sue, e quando hai imparato ad ascolarle l'intero Paese diventa una distesa di storie sussurrate, e ad ogni giro di pneumatico tu le tiri su, le arrotoli tutte nella memoria, e alla fine diiventi anche tu una parte di loro. Una storia.
Come l'autostoppista fantasma sulla Route 36, che ti canta i vecchi blues della ferrovia e poi si fa lasciare di fianco a un vecchio cimitero. O l'albergo che appare e scompare a seconda della luna, sulla scogliera in fondo alla baia. O ancora, il tizio magro nero con la voce sottile, vestito da donna, che ti confida: "Non mi hanno ucciso, sono scappato, e sto ancora scappando."
Ricordi, leggende, voci dall'America dimenticata che ti parla dei morti occorsi per costruire un ponte, o del paese morto lentamente dopo che hanno spostato l'autostrada, o del deserto dove ogni anno per tre giorni arrivano sbroccati da tutte le parti, cantano e ballano strafatti per tre giorni dormendo in tenda e nelle roulottes, costruiscono un grande spaventapasseri e alla fine gli danno fuoco per poi tornare ognuno da dove è venuto, contento e più vecchio di un anno.
Le strade sono le storie dei posti che hanno toccato e dove portavano: la cascata che non esiste più, il borgo travolto da una frana, la valle sommersa per creare un bacino idroelettrico. Ricordaci, dicono i posti: portaci dentro, perchè non sei diverso da noi, e un giorno...quuando la tua Pontiac arruginirà tra le sterpaglie e tutti quelli che ti hanno conosciuto saranno scomparsi... di te resterà una storia - la Storia di Kovalsky, l'Uomo che Guidava fino alla Fine del Mondo.
E questo è il punto... le nostre strade finiscono: possiamo percorrerne migliaia ogni giorno quasi con furia, come ho fatto io: ma un giorno imboccheremo l'ultima.
E allora, alla fine dell'ultimo metro dell'ultima delle strade su cui hai guidato la tua Pontiac, la tua vita verde scintillante o blu malinconia o giallo dorato come il Sole... allora noi stessi diventeremo la nostra strada. La nostra storia.
E saremo liberi.

Su una lapide anonima, lontano da un paese in uno stato del Midwest, sotto un acero rosso vicino a uno stagno, c'è questa scritta:
WHERE THE ROAD ENDS YOU BEGIN
(Dove finisce la strada inizi tu)
Nessuno sa il perchè.

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